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112 un processo

con cui era stato commesso l’omicidio: un coltelluccio da tasca, poco più grande di un temperino, di quelli che servono a sbucciare i fichidindia, ancora nero di sangue sino al manico. Il presidente domandò:

— Con questo avete ucciso Rosario Testa? —

Tutti gli occhi si volsero alla gabbia dov’era rinchiuso l’imputato, un vecchio alto e magro, dal viso color di cenere, coi capelli irti e bianchi sulla fronte rugosa. Egli ascoltava l’accusa senza dir verbo, col dorso curvo; e seguiva cogli occhi l’usciere, il quale passava dinanzi al banco dei giurati col coltello in mano. Soltanto batteva le palpebre, quasi la poca luce che lasciavano entrare le stuoie calate fosse ancora troppo viva per lui.

Alla domanda del presidente si rizzò in piedi, diritto, col berretto ciondoloni fra le mani, e rispose:

— Sissignore, con quello. —

Corse un mormorio nell’uditorio. Era una giornata calda di luglio, e i signori giurati si