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cietà, in quel momento in cui lo immaginammo solo e annientato in quelle camere ancora profumate da lei, ancora stillanti di quell’amore che inebriandoli aveva ucciso il più fragile dei due esseri; ora solo, perduto nell’immensità di quel dolore profonda che sbalordisce come il fulmine.

Sentimmo che nulla potevamo fare per lui in quel momento.

— Addio! — dissi ad Angiolini stendendogli la mano.

— Ci vedremo? — aggiunse Abate.

— Chi sa?... fra un mese o due forse...

— E ci narrerai questa storia? — disse Consoli.

— Tu la scriverai? — rispose Raimondo rivolto a me.

— Forse.

— In tal caso bisogna che Pietro me ne dia prima il permesso. Addio.

Tre mesi dopo rividi Angiolini al Caffè di Sicilia. Gli domandai di Brusio: era ritornato in Siracusa, sua patria; gli rammentai la promessa, ed egli mi narrò le parti principali di quella storia di cui noi avevamo assistito alla triste catastrofe; però