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egli quindi colla voce rauca, stentando a proferire le parole: — io son pazzo!... son pazzo!... sono stato vile anche!...

E partì lentamente, quasi strascinandosi. Non avea fatto dieci passi che udì le note allegre e cristalline del valtzer che risuonavano di nuovo.

Si fermò in mezzo alla strada, a guardare un’ultima volta, con un’ineffabile espressione di disperata amarezza, quel lume che splendeva chiarissimo in quella stanza riboccante d’armonia; si levò il cappello, con un moto istintivo, lento, quasi solenne, esclamando, cogli occhi umidi di lagrime infuocate:

— Addio, signora!... Addio!

Camminò tentoni, barcollando com un ubbriaco, fino a quando stramazzò, privo di forze, singhiozzante, su di un sedile di marmo sotto gli alberi del Rinazzo.

— Oh! questo valtzer! questo valtzer! — gridò egli smaniante, come se quelle note gli percuotessero sul cervello, — Dio!... mi pare di diventar matto davvero... Ah!... ma non ha dunque nemmeno un