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tente da sembrare angoscia qualche volta) di gelosia, ed anche di dolore, tutti i rumori più insensibili del suo passo, del fruscio della sua veste, tutte le emanazioni della donna amata, i minimi suoni del suo pianoforte e della sua voce, che spesso parlava al conte di quelle parole, cui rispondeva, come un’eco, un singhiozzo dalla strada.
Egli sapeva l’ora del suo levarsi, della sua toletta, del suo pranzo, della sua passeggiata; conosceva il modo d’ondeggiare delle tende quando ella vi stava dietro, il rumore delle carrucole della poltroncina che la sua mano indolente tirava a sè.
Era un martirio spaventevole che s’imponeva senza saperlo; che l’attraeva però col fascino del precipizio; che alimentava il parossismo febbrile, il quale divorava le sue forze e la sua vita, colle sue triste gioie, coi suoi acri godimenti, coi suoi sogni febbricitanti.
Alcune volte, ritirandosi ella dopo la mezzanotte, a piedi, accompagnata da due o tre giovanotti eleganti che la corteggiavano, si era rivolta verso quell’uomo, seduto sul marciapiede, che si sarebbe scambiato con