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Domandammo chi era morto ad un domestico in lutto che seguiva, anch’egli a piedi, il convoglio, e ci fu risposto: la contessa di Prato.

— Ella! — esclamammo tutti ad una voce, come se fosse stato impossibile che la morte avesse potuto colpire quella fata, che aveva fatto il fascino di tutti.

Non sapevamo spiegarci per quali circostanze la contessa fosse morta in quel luogo e Angiolini ne accompagnasse il feretro; per un movimento istintivo ed unanime scendemmo da carrozza, e, a capo scoperto, seguimmo il mortorio sino alla chiesetta.

Raimondo Angiolini entrando in chiesa venne a stringerci la mano; i nostri occhi soltanto l’interrogavano, poichè egli rispose tristamente le stesse parole che ci erano state dette:

— La contessa di Prato.

— Ella! — fu ripetuto di nuovo.

Raimondo abbassò il capo tristamente.

— Morta... la contessa!... morta qui! — esclamò Abate.

— Sì, ieri l’altro, alle due del mattino... una morte orribile.