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del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua immaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando:

— Che ne dici della mia tirata, Pilade?.

— Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta.

— Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... — disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d’amarezza. — Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m’ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l’incolpabilità delle azioni umane