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«— Oh! è l’eccesso della felicità che mi fa male! — mi disse.
«E l’alba ci trovò ancora a quel verone, abbracciati.
«Raimondo!... Ti svelo un gran mistero del mio cuore, che Narcisa non dovrebbe mai conoscere. In mezzo a questi deliranti piaceri, in mezzo a questa felicità che il Paradiso non mi potrebbe mai dare, ho un pensiero che mi è quasi terrore, che mi agghiaccia il bacio sulle labbra... e ciò quando penso che a forza d’inebbriarmi a questa coppa fatata, i sensi dell’uomo, troppo deboli per la piena di tanta felicità, non si istupidiscano nel godimento;... che io non possa più assorbire in tutti i più squisiti particolari questa rugiada d’amore di cui ella mi abbevera;... che, infine, (ho terrore di ripeterlo a me stesso!) a forza d’immedesimarmi nella vita di lei, a forza di assorbirne tutte le emanazioni quando me la stringo fra le braccia, io non giunga a rompere quel velo aereo, direi, di cui Narcisa si circonda, e che comanda quasi la semioscurità, l’isolamento, per farla meglio ammirare... Raimondo, se ciò avvenisse,