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tamente quando fuggivo delirante come se fuggissi il cuore che sanguinava dirotto; bisogna che io mi segga su quel marciapiede, colla fronte fra le mani, come allora; e che io ascolti lo stormire di quegli alberi, il suono di quell’orologio, il murmure lontano di quel mare, il fruscio della tua veste;... e che io vegga il lume che rischiara la tua camera;... e che la tua voce sopratutto, la tua voce inebbriante, mi ripeta ad ogni ora, ad ogni minuto, che quello non è un sogno, che io non son pazzo;... e che i tuoi labbri, posandosi sulla mia fronte, mi scaccino questo turbine affannoso che mi sconvolge la mente, che mi fa dubitare della mia felicità....
— Andiamo a Catania! — mormorò Narcisa, dandogli un lungo bacio e bagnandogli la fronte di due lagrime di voluttà.
VIII.
Sig. Raimondo Angiolini - Siracusa.
- Amico mio,
Catania, *** Agosto 186*
«Apro oggi soltanto le lettere che mi