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del castello di trezza | 199 |
Egli attaccò una grossa bestemmia invece della croce; saltò sulla spada che avea gettato in mezzo alla camera, e così com’era, mezzo svestito, colla spada nuda in pugno, al buio, si slanciò nell’andito che era dietro all’alcova.
Ritornò poco dopo. — Nulla! disse, le finestre son chiuse, ho percorso il corridoio, l’andito, lo spogliatoio; siamo matti voi ed io; lasciatemi dormire in pace adesso, giacchè se domani il Rosso venisse a sapere quel che ho fatto stanotte, e sino a qual segno sia stato imbecille, dovrei vergognarmi anche di lui.
Nè si udì più nulla; la baronessa rimase sveglia, e don Garzia, sebbene avesse attaccato di nuovo due o tre russate sonore, non potè dormire di seguito come al solito; all’alba si alzò con tal cera che il Rosso, spicciatosi alla svelta dei soliti servigi, stava per battersela.
— Chiamami Bruno; gli disse il barone,