|
del castello di trezza |
165 |
senza pagare col sangue; quell’alcova profonda come un antro, tappezzata a foschi colori, colla spada appesa al capezzale di quel signore che non l’ha tirata mai invano dal fodero, il quale dorme sul chi vive, coll’orecchio teso, come un brigante — che ha il suo onore al di sopra del suo Dio, e la sua donna al disotto del suo cavallo di battaglia: — cotesta donna, debole, timida, sola, tremante al fiero cipiglio del suo signore e padrone, ripudiata dalla sua famiglia il giorno che le fu affidato l’onore ombroso e implacabile di un altro nome; — dietro quell’alcova, separato soltanto da una sottile parete, sotto un’asse traditrice, quel trabocchetto che oggi mostra senza ipocrisia la sua gola spalancata — il carnaio di quel mastino bruno, membruto, baffuto, che russa fra la sua donna e la sua spada; — il lume della lampada notturna che guizza sulle immense pareti, e vi disegna fantasmi e paure; il vento che urla