la persona avida e abbandonata, l’azzurro intenso del cielo, quei profumi acuti, quel ronzìo e quel crepitìo sommesso di tanti organismi, quella quiete solenne in cui si sentiva l’espandersi di una vita universale, quel canto dei vendemmiatori che non si vedevano, tutti quei rumori e tutte quelle voci che venivano a morire sull’alta muraglia brulla della Rocca, senza un’ombra, senza un filo d’erba, arsa dal sole, in fondo al verde cupo e profondo dei nocciuoli, ritta contro il cielo turchino. Quel paesaggio per la maggior parte infruttifero era di un pittoresco stupendo, si svolgeva a destra e a sinistra con bruschi cambiamenti di prospettiva, con ricca varietà di toni e di colori, coi greppi brulli e giganteschi, le macchie sterminate, i valloni profondi, a guisa di un parco immenso, con una grandiosità di linee che Elena sola sapeva apprezzare. Però i villani facevano spallucce al suo entusiasmo per quella rocca di granito che non fruttava niente, e di cui ella andava superba come di possedere un feudo. Invece