viscere materne vi si stemperassero. Camilla, impassibile, quando tutti tacevano da un pezzo senza saper perchè, diceva qualche parola sottovoce al cugino, come in chiesa, colla sua voce calma che sembrava misteriosa in quel silenzio imbarazzante. Don Liborio stesso non era più quello, trinciava delle sentenze radicali sulle questioni politiche, aveva degli occhiacci torvi sulla faccia incorniciata dalla onesta barba bianca, si calcava sugli occhi il berretto ricamato, e fra una partita e l’altra tirava su delle prese di tabacco rumorose come razzi. Elena, colla testolina china sul libro o sul lavoro, in atteggiamento da vittima, figgeva in viso a Cesare delle occhiate lente e malinconiche, ogni volta che alzava il capo, e il seno le si gonfiava e faceva alitare la blonda come cosa viva. Il pianoforte, lungo disteso, taceva anch’esso da settimane e settimane, talchè la cosa più allegra di quel salotto, in mezzo al fruscìo delle carte da giuoco, e lo scricchiolìo secco dei ferri di Camilla, era Roberto, seduto accanto a lei, a guar-