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rientravano a casa tardi, vedevano sempre il lume alla finestra di lui, davanti ai libri schierati sul tavolino. Egli non ignorava che bisognava picchiare e picchiare nella testa come colla zappa per farci entrare la laurea. Per tutta distrazione, alla sera, quando i camerati sgattaiolavano fuori alla conquista delle serve del vicinato, egli si metteva alla finestra, pensando alle sorelle che chiacchieravano a quell’ora colle vicine dal terrazzino, e alla mamma che gli aveva messo di nascosto cinque lire in tasca prima di partire.

La corte deserta era silenziosa e malinconica, chiusa da tre lati fra alti muri nerastri, colle finestre quasi tutte murate dall’epoca della tassa sulle aperture, e rimaste cieche dal 1848 per economia di vetri, sulle pareti scalcinate, senz’altro rilievo che quei davanzali scantonati che lasciavano colare tuttora la striscia sudicia degli antichi condotti. Dall’altro lato si rizzava un alto muro di chiesa, tutto bucherellato al pari di una colombaia,