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tava il letto e il tavolino colle gambe in aria, e le sorelle si erano cavati gli occhi a cucirgli il corredo quasi ei fosse andato a nozze.
A Napoli Cesare era andato ad abitare un quartierino da 35 lire e 75 al mese, insieme a quattro compagni, ciò che ripartiva le rate di fitto in ragione di sette lire e tanti centesimi a testa, e le frazioni davano origine a dispute senza fine, ogni qualvolta si facevano i conti, all’ora del desinare, col pane sotto il braccio, per timore che un compagno ci addentasse distrattamente.
Nella corte della stessa casa, di faccia al quartierino degli studenti, erano le finestre della signorina Elena, e quei diverbi clamorosi facevano correre al terrazzino tutta la famiglia del vicecancelliere, le signorine col sorriso impertinente, il babbo col berretto di velluto in testa, la serva collo strofinaccio in mano; e alle volte perfino la mamma affacciava fra le tende giallastre il viso scialbo e discreto.