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lemme, scambiando dei saluti coi conoscenti che s’incontravano, e si conoscevano tutti, oziando cogli occhi sulle gran macchie grigiastre degli oliveti, le quali si velavano già della tristezza del tramonto, ascoltando distrattamente il cicaleccio che facevano le donne alla fontana, e le voci che salivano dalle stradicciuole; discorrevano di quei campi che conoscevano palmo a palmo, s’interessavano alla loro cultura; misuravano a occhio il maggese della giornata che spiccava in bruno sulle stoppie giallastre; osservavano la chiusa preparata per le fave, punteggiata in nero dai mucchietti d’ingrasso; commentavano la vigna spampanata di fresco, irta e spugnosa in mezzo agli altri filari verdeggianti. Poi, giunti al limite solito della loro passeggiata, che era un muricciuolo soprastante un orto, lo zio spolverava col fazzoletto due sassi, e si mettevano a sedere, coi gomiti sui ginocchi, riposando gli sguardi sulla bella vallata che si stendeva ai loro piedi, scolorita, sparsa di ciuffetti di verde