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Il barone si era fatto sposo con una delle più ricche damigelle di Avellino, e venne a far visita anche lui — sorpresi entrambi di trovarsi tanto mutati. Elena sapeva ormai per esperienza che anche nelle sale sdegnose della grande città l’eco di una sostanza colossale ha sempre una grande importanza. Egli aveva viaggiato e aveva lasciato qua e là un po’ della sua pinguedine e molto del suo denaro. In cambio aveva riportato dei vestiti di un sarto in voga, le maniere distinte, il frasario convenzionale dei saloni, la disinvoltura e l’impertinenza della sua ricchezza. Elena ne fu piacevolmente impressionata, quasi lusingata, come ciò fosse opera sua, pel lievito che aveva lasciato la sua memoria in quel mezzo contadino. E per quanto fosse padrona di sè, per quanto volesse persuadersi sinceramente di non aver più un pensiero che non fosse per suo marito, era troppo donna per non lasciarglielo indovinare. Don Peppino dal canto suo era abbastanza incivilito per non accorgersene, per non fondarci sopra mille castelli in aria, aiutandoli