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Il poetucolo, geloso per vanità, aveva scritto una satira furibonda contro di Lei. — «Ti rammenti? — L’elegia erotica e accusatrice. — Ti rammenti, nel salotto color d’oro? — Ti rammenti, quando venisti a trovarmi nella povera stanzetta? — La povertà tornava bene coll’intonazione piagnolosa. Le allusioni erano trasparenti come il cristallo, i particolari precisi per l’impronta di intimità che richiedeva l’argomento. — Ti rammenti il primo bacio, sulla poltrona di velluto nero, ricamato colle tue cifre? e il fazzoletto che dimenticasti nella mia stanza? il profumo che vi lasciasti con esso? il tuo nome dolce al pari di quello della tua greca sorella? Ah! dove l’hai portato adesso quel profumo, traditrice? Nell’alcova principesca! nelle stanze anticipatamente profanate da altri amori volgari. Hai barattato il tuo motto altero «Tant que vivray autre n’auray» contro una corona a cinque fioroni, perch’essa t’è parsa più nobile di una fronda d’alloro, e più bella dei vent’anni, e più splendida dei capelli biondi....