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cuore senza sospettare di fargli male, al pari del fanciullo che tortura un uccelletto. S’egli avesse avuto l’ispirazione di parlarle in questo senso Elena forse avrebbe pianto con lui. Ora, pensava lui, era tardi. Ora bisogna distruggere e dimenticare persino quella lettera fatale, e ricominciare un’altra vita di intimità e d’affetto per riconquistare quel cuore a furia d’abnegazione e di sacrifici, col dimostrarle che le si abbandonava tutto intero, fiducioso e dimentico di quel ch’era stato.

Un mattino in cui il medico aveva detto finalmente che non c’era più bisogno di lui, e l’Elena appoggiata a un monte di guanciali sorrideva del suo sorriso pallido, in mezzo a tutti i suoi parenti, ei domandò:

— Vuoi vedere la Barbara!

— Che Barbara!

— Nostra figlia.

— Vuoi chiamarla Barbara! Ah, è vero. È il nome di tua madre. Ma non è bello; del resto fa come vuoi.

La mamma, che aveva i suoi pregiudizii