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davano e venivano senza sospettar di nulla, empivano di frastuono e di via vai tutta la casa. Elena aveva un moto doloroso della fisonomia per esprimere il male che le arrecavano i più lievi rumori, un voltar la testa pallida dall’altra parte, una contrazione delle sopracciglia sulle palpebre chiuse, uno stringer di labbra. Soltanto allorchè il marito si chinava sul letto per dirle sottovoce di bere una tazza di brodo o di prendere una medicina, apriva gli occhi, lo guardava con una specie di meraviglia, lo seguiva collo sguardo mentre egli andava e veniva per la stanza in punta di piedi, con rara sollecitudine, delicata e femminea. Allorquando si svegliava di soprassalto dal suo corto sonnecchiare, lo vedeva sempre là, sulla poltroncina ai piedi del letto, che si alzava pian piano, e si accostava per domandarle all’orecchio come si sentisse. Molte volte, in quelle tristi veglie, al lume della lampada notturna che lasciava il letto nell’ombra, dinanzi a quella forma indistinta di cui non si udiva neppure un soffio, di cui