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Cesare impallidì. La lettera messa in fascio coi pomidoro e le lattughe, era di Elena, diretta a Cataldi, in America.
— Va bene, disse. Lasciatela qui. La metterò io alla posta.
La donna indugiava a strascicar le ciabatto per la stanza, lentamente, col grugno composto ad una certa maligna compiacenza nel porre in ordine le seggiole, e gli oggetti minuti sopra i mobili. Cesare, colla voce tremante di collera, tornò a dire:
— Andatevene, vi ho detto! Andatevene!
Non c’era dubbio. Era il carattere d’Elena che scriveva a Cataldi, a Montevideo. Cesare si slanciò per correre dalla moglie, poi si arrestò prima di aprire l’uscio dello stanzino, pensando alla serva, che ronzava pel corridoio. Tornò allo scrittoio colla testa fra le mani, senza poter trovare in quel tumulto d’affetti il più semplice pretesto per mandar fuori la serva, sforzandosi di pensare ad altro per calmarsi.
Ma lì, seduto davanti alla scrivania, gli