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Andava a sollevarsi dal lavoro pesante presso di Elena, prendendole le mani coll’effusione timida di un fanciullo. Ella, pallida come uno spettro, si lasciava abbracciare.
Don Liborio, quando seppe la cosa, cominciò a strillare che il genero aveva fatto una corbelleria, si era tagliata l’erba sotto i piedi, aveva voltate le spalle ad una strada larga e nobile, per sgambettare tutta la vita in un sentieruzzo angusto e senza uscita, e non voleva sentire le ragioni del genero sbigottito dal rabuffo.
— Babbo, rispose pacatamente Elena, coteste son belle cose quando si è ricchi, o almeno quando si può aspettare il portafoglio di ministro.
— E chi v’impediva di aspettare? esclamò don Liborio incalorito. Che fretta avevate? Non siete abbastanza giovani tutti e due!
— No, babbo! Non avevamo tutti i giorni dei pianoforti da vendere.
— Avete venduto il pianoforte? rispose il babbo sorpreso di non veder più lo strumento