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scribaccino di tribunale, o da un impiegatuccio dell’Agenzia delle tasse; si accasciava anche lei sul divano, colle braccia in croce sui ginocchi, cogli occhi fissi che splendevano di luce nera. Adesso non gli domandava più nulla. Lo aspettava sul terrazzino, lo vedeva venire a testa bassa, col cappello all’indietro, il vestito sbottonato, le scarpe polverose, strascinando i passi; andava ad aprirgli l’uscio, e tornavano a sedere sul balcone, senza dire una parola, colle braccia inerti, sino a tarda sera.

Ormai amava anch’essa la solitudine della via Piliero, il mormorìo del mare, il silenzio della notte stellata, tutte quelle cose che almeno la lasciavano fantasticare come voleva. Allora prestava l’orecchio al rumore di un passo noto, sotto le sue finestre, perseverante, che sembrava recarle l’omaggio di un cortigiano fedele nella sventura, e le rammentava il lusso in cui era vissuta, le feste splendide, l’ossequio universale alla sua bellezza.

La sua bellezza! cosa valeva? a che serviva

Verga. Il marito di Elena. 12