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tato, il quale si credeva condannato perchè era difeso gratis. Invano si arrabbattava nei bassi fondi e nelle anticamere della Giustizia, in mezzo a gente cenciosa e colla barba lunga, su e giù per le scale tappezzate di cartacce sudicie, nella folla dei causidici e dei litiganti ansiosi. — Quello è il tuo campo di battaglia! profferiva il suocero. Là trionferai!

Donn’Anna voleva sapere perchè il genero non rinunziava alla lusinga di far l’avvocato, e non cercava invece un impiego, come Roberto il quale aveva il suo soldo fisso, e se gli aumentavano lo stipendio avrebbe potuto ammogliarsi, senza altri fastidii. Don Liborio saltava in aria al sentir parlare d’impiego, diceva che era un avvilirsi, per un avvocato, il quale aveva la stoffa di ministro, lo stesso che diventare un rodicarte, un servitore del pubblico. Piuttosto avrebbe voluto fare del genero un deputato, un consigliere provinciale. Elena non apriva bocca in quelle discussioni di famiglia, ma si ribellava in cuor suo all’idea di presentarsi in un salone accompagnata da uno