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ninnoli graziosi che Cesare aveva regalati ad Elena; sul tavolino i libri e i giornali che solevano leggere insieme; in un canto aspettava l’ultima pennellata un acquerello rappresentante una cascata argentina, fra due rocce color tanè, sotto un cielo oltremare, che due viandanti, maschio e femmina, osservavano dall’alto della rupe, tenendosi per mano, quasi avessero voluto fare il salto di Leucade; e fra i due usci si allungava il pianoforte che era costato degli anni di privazioni al povero genitore. Egli si faceva forza per aggrottare le ciglia guardando ad uno ad uno quegli oggetti, e si soffiava il naso furiosamente.
— La colpa è tutta nostra, donn’Anna! riprese infine battendosi la fronte col palmo della mano. L’abbiamo educata come una principessa! come se avesse dovuto sposare un re di corona! la figlia di un povero cancelliere di tribunale!..
Allora donn’Anna, seccata dal freddo e dal sonno, perse la pazienza.
— Voi non sapete come vanno queste cose!