ton e i suoi quattro cavalli bai. Elena era leggiadrissima nel suo vestito grigio e nero, sotto l’ombrellino di seta gregiga. Due altre signore del vicinato erano venute, e riempivano il legno di stoffe gaie, di ombrellini rossi, di allegria e di risa. Raramente gli abitanti del villaggio avevano visto siffatto spettacolo per le strade larghe e deserte del paese, e fu un gridìo, una festa generale, lungo i muri degli orti, le facciate basse delle casette, appena si udì da un capo all’altro del paese il trotto sonoro dei quattro cavalli. I monelli correvano vociando dietro il cocchio, le comari si additavano Elena dagli usci, colle rocche, a bocca aperta, tutti quelli che giuocavano a tresette si affacciarono sulla porta del casino. Il barone arrestò il phaeton dinanzi al caffè, con un tratto vigoroso del polso che fece piegare sui garretti i cavalli fumanti, e ordinò dei gelati. Le signore, rosse come i loro ombrellini, vergognose di vedersi il punto di mira di tutto il paesetto affollato intorno al legno, col