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figlia! m’hanno rubata mia figlia! — Taci! le disse suo marito. Non gridare così, chè i vicini sentono!

Il pover’uomo, tutto sottosopra, ancora mezzo scalzo, colla camicia che gli si gonfiava al pari di una gobba fra la croce degli straccali, andò ad accendere un’altra candela; ma non ci riusciva, tanto gli tremavano le mani. Poi si misero insieme a cercar per la casa, come se l’Elena stesse giuocando a rimpiatterello.

Quando don Liborio rientrò nella camera nuziale era più pallido della sua camicia, e i capelli gli piangevano di qua e di là del cranio nudo. Egli posò il candeliere sul tavolino da notte, e rimase colle braccia ciondoloni, di faccia a sua moglie seduta sul letto come una chioccia.

Donn’Anna ricominciò a guaire: — Perchè non correte? Siete ancora qui? M’hanno rubata mia figlia Elena!

Don Liborio andava raccattando i panni per la stanza, correndo all’impazzata su e giù,