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anche scalze nelle ore tarde, filavano, facevano la calza, litigavano fra loro, mentre la padrona rivedeva i conti, dava gli ordini ai fattori, consultava l’avvocato che veniva apposta da Altavilla, spartiva il lavoro. Ella accolse i nuovi arrivati colla cordialità che si leggeva sulla faccia dei suoi antenati imbavagliati nel collare della toga; baciò le donne, fece portare dei rinfreschi che sarebbero bastati per una compagnia, li menò in giro per la casa, vasta quanto un convento, nel tinello in cui nessuno mangiava più da un secolo, nel salone che non era stato mai terminato, negli stanzoni abbandonati e ingombri di mobili vecchi, e che servivano quasi tutti da magazzini.
— Non c’è dove mettere uno spillo — diceva la baronessa. — La casa è tanto piccola! — Gli uomini ammiccavano cogli occhi, e immergevano le mani nei cestoni riboccanti di ogni ben di Dio. — Queste son le stanze di mio figlio; — disse poi la baronessa conducendoli in un altro quartierino un po’ meglio