Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 95 — |
che arrecava a Cesare tutto quel movimento, quell’allegria rubata alla sua luna di miele, quel desiderio di piacere che ispirava sua moglie, che egli indovinava colla sua penetrazione delicata e quasi malaticcia, che sentiva ronzare là intorno per quei burroni, fra quelle macchie, dove i vicini stavano tutto il giorno col pretesto di cacciare. Però sarebbe morto di vergogna prima di confessarle la sua strana gelosia. Anzi, allorchè udiva l’abbaiare dei cani nella Rocca, o lo sparo dei fucili, la chiamava, le indicava la leggera fumata che si dileguava lentamente da un folto di macchie arrampicate sulla fenditura della montagna ad un’altezza vertiginosa, e le diceva: — Là, vedi, là! dev’essere il tale, o il tal altro.
— Ah! esclamava Elena, mettendosi una mano sugli occhi, lassù?... su quel precipizio?
E restava intenta, coi pugni stretti. Alle volte chiedeva:
— Perchè non sei cacciatore anche tu?
Ella aveva di cotesti istinti, quella giovinetta. Lui non trovava altro che un sorriso