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A un tratto fu suonato il campanello con violenza, ed io mi scossi bruscamente. Udii nell’andito la voce di Giorgio. — E così, mi disse entrando, che cosa fai? Non hai ricevuto il mio biglietto? — Sì, ma... — O dunque?... — Ma non verrò.... Non posso venire.... — Eh! che diavolo! Ora che ho promesso di presentarti! Che figura mi fai fare? — Ma capisci.... — Capisco che sei di una timidità ridicola. — Così la paura di un ridicolo scacciò l’altra, e mi lasciai condurre. Alla porta del teatro sentii rinascere più vive che mai le ultime esitazioni e le misi fuori risolutamente; egli le respinse senza ammettere replica e mi prese pel braccio. Infilammo alcuni corridoi poco illuminati e ci trovammo quasi improvvisamente in mezzo ad un caos di ordegni, di assi, di tele dipinte, di scale, tutto polveroso, unto, sudicio, dove stavano a chiacchierare alcuni macchinisti in maniche di camicia, e un pompiere faceva la corte ad una figurante lercia, seduta a cavalcioni su di una seggiola zoppa, — era il rovescio di quel paradiso di tela dipinta e di fiori di carta. Di fuori risuonavano applausi fragorosi che soverchiavano

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