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e l’accento contrastava stranamente con la parola.

— È vero, sei molto cambiato.

Egli tossì due o tre volte e non rispose. Il silenzio si prolungava troppo: per dire qualche cosa gli domandai se egli fosse da molto tempo in Firenze.

— Da due anni, rispose.

— Sei pittore, mi sembra.

— Sì, disse con un sorriso che non dimenticherò mai più. E dopo un istante:

— Anche tu hai la malattia dell’arte!

— La malattia?

— Vuoi chiamarla follia? diss’egli collo stesso sorriso amaro. Non discutiamo sulle parole: è una malattia di cervello o del cuore, non mi picco gran fatto di fisiologia — ma so ch’è un gran malanno.... Vedi, non son più ’’badduzza’’.... ed ho la febbre.

Si tolse il guanto, e mi porse la mano che scottava.

— Ma tanto meglio! riprese collo stesso tuono,