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Enrico si tolse l’abito e lo piegò accuratamente posandolo in terra; vi sovrappose il cappello, rimboccò le maniche della camicia sino al gomito, prese la spada che gli presentavano, la piegò in tutti i sensi sulla punta del piede, e frustò l’aria con essa. Successe un istante di silenzio solenne; poi si udì una voce:

— A voi, signori!

E le due lame scintillarono.

Ho ancora dinanzi agli occhi quel triste spettacolo.

Enrico avea la guardia un po’ spavalda, ma ferma come il bronzo, che gli spagnuoli ci hanno lasciato a noi del mezzogiorno; sembrava tutto d’un pezzo dalla punta della spada alla punta del piede, e parava con un semplice movimento di pugno. Il conte era bravo spadaccino, snello, agile, nervoso; la spada gli guizzava fra le mani come un baleno, cavando e ricavando colla rapidità di un mulinello; si raccorciava, si nascondeva quasi sul fianco, e vibravasi improvvisamente come un giavellotto a spuntarsi su quei pochi centimetri di coccia, dietro alla quale Enrico riparavasi come