rozza, di cui i fanali scintillavano come due stelle, sollevando arditamente la veste sul marciapiede con quella altera civetteria che non si cura dello sguardo indiscreto, o gli getta come una limosina l’onda vaporosa della batista e il lucido riflesso dello stivalino. La rividi in mezzo alla folla, accompagnata da un elegante trovatore che le dava il braccio, e seguita sempre da vicino o da lontano da un arlecchino con tanta insistenza, che tutti la notavano. Ella passava sorridente sotto la sua maschera — aveva un sorriso incantevole — ed ogni volta che l’arlecchino l’incontrava, le ripeteva la sciocca domanda solita: — Ti diverti, mascherina? — ed ella, rideva, rideva allegramente, e ridendo imporporava il basso delle sue guancie, quel po’ che se ne poteva vedere. Una delle volte mi trovavo fra un crocchio d’amici, e si fece largo davanti a quella regina che passava, e l’arlecchino la seguiva sempre, come un cane allampanato colla coda attaccata al ventre e l’occhio bramoso intento al tozzo di pane che indovina nella tasca del padrone, e ripetè il suo ritornello col tono afflitto di un cane che ustoli.