volta l’incontrai alle Cascine, in uno di quei viali che nessuno frequenta. Quel mattino il mio cuore faceva festa — domeniche gioconde dei venticinque anni, che non tornano più! — Il sole splendeva, ed il sorriso brillava negli occhi di Vittorina — larva di un di quei giorni in cui si prodiga tanta parte di cuore, come se non dovessero tramontare giammai, fantasma di un’ora felice che si dimentica prima ancora che sia trascorsa, nello stesso modo che ella avrà dimenticato persino il mio nome, lo rammenterà, come io adesso mi rammento del suo, a proposito di qualche cosa che allora ci passò sotto gli occhi senza che ce ne avvedessimo. Il viale era deserto gli uccelli cinguettavano fra gli alberi, e i rami susurravano lieve lieve, intrecciando mollemente le loro ombre in bizzarri disegni sulla ghiaia del viale. Noi non si parlava certamente dell’ultimo fascicolo dell’Antologia; Vittorina era allegra, cantava, rideva, e il riso la faceva bella. Io guardavo e ascoltavo. Quando il nostro fiacre passò accanto ad un bellissimo legno, che stava fermo in mezzo al viale, vidi, verso il cristallo scintillante, una testo-