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— Marchese Alberti; disse pallida come uno spettro, io non vi avevo fatto l’insulto di diffidare di voi.

Ei si arretrò di due o tre passi.

— Ascoltatemi bene, signore! Son l’amica di Adele, e mi sento ancora degna di lei, e di me. Questa è l’ultima volta che ci vediamo; vi parlo come attraverso un abisso insormontabile, come stessi per morire per voi, ecco perchè non vi ho nascosto e non vi nascondo nulla. Non vi ricambierò d’amore giammai! Io farò il mio dovere, e prego Dio che voi facciate il vostro.

— Qual è il mio dovere? domandò Alberti a guisa d’uomo colpito dal fulmine.

— Dimenticatemi, è il meglio che possiate fare. Alberto rispose con un fosco sorriso.

— Ebbene, io farò il mio! soggiunse Velleda dopo un istante di silenzio.

— Ho previsto tutto quello che potreste fare; diss’egli con tenacità disperata. Voi mi fuggirete: io vi seguirò; mi disprezzerete: vivrò per vedervi; non mi amerete: vi amerò io!...

Così dicendo sembrò che gli mancassero le forze, cadde lentamente sui ginocchi e stette colla testa fra la polvere. Velleda gettò un lungo sguardo su quell’uomo che singhiozzava ai suoi piedi.

— Alberto! disse dolcemente, — ei balzò in piedi — Alberto, lasciamoci degni l’uno dell’altro; dimentichiamo un istante di debolezza e di follia; siamo forti!...

— Che bisogno avete di esser forte voi? domandò il