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XVII.
Era una di quelle ultime notti d’autunno che preludiano l’inverno, scura e tempestosa. Gli alberi si contorcevano sotto un vento furioso che gemeva come voce umana; i cani uggiolavano spaventati; l’aria era talmente carica d’elettricità che sentivasi quel vago senso di terrore, fantastica attrattiva della notte.
Alberti saltò giù dalla finestra, quella medesima finestra che aveva scavalcato qualche tempo innanzi con tutt’altro amore nel cuore, e non volse gli occhi a quella della cugina se non che per spiare se potesse esser visto. In tutto il suo interno non c’era che una sola idea, indistinta, cieca, affascinante; passeggiò innanzi e indietro pel viale che correva dinanzi alla villa, coi capelli irti e il sudore sulla fronte, mentre il vento ululava, e le foglie degli alberi sembravano scrosciare per gragnuola; il buio che l’avvolgeva lo penetrava