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— Così presto!

— È più di un mese che son qui.

Alberto tacque, ed ella continuò a suonare.

— Che pezzo è cotesto? domandò infine.

— Uno studio di Listz. Le piace?

— Sì... molto...

Ei si alzò, e si mise a guardare i quadri appesi alle pareti. Poi tornò a sedersi al medesimo posto, e dopo alcuni istanti di silenzio le disse:

— Ci rivedremo?

— Ma... sì...

Egli non disse più nulla; anche il pianoforte si tacque. Rimasero zitti, immobili, senza guardarsi. Ad un tratto si udirono dei passi vicino all’uscio.

— Lasciatemi! esclamò Velleda bruscamente dandogli per la prima volta del voi.

Entrò Gemmati, serio, freddo, scambiò due o tre parole colla contessina, poi prese Alberti pel braccio, e lo condusse fuori con un pretesto.

Dopo alcune centinaia di passi, Gemmati alzò gli occhi in viso al suo amico per la prima volta e gli disse:

— Son venuto a cercarti per dirti una cosa:

— Domani vado via.

Alberto parve un istante colpito da quell’improvviso annuncio; ma ad un tratto avvampò in viso e rispose masticando un sorriso:

— Accompagni la contessina Manfredini?

— Vado solo: rispose freddamente Gemmati; partirò stasera.