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viso, ma con quell’aria di burbero benefico che gli andava a meraviglia. Egli fu amabilissimo con Velleda, e accarezzò il nipote sulla spalla.

— Il tuo bajo mi sembra un po’ malato, gli disse. Vuoi venire a vederlo?

Alberto sentì in nube che il suo bajo stava assai maglio di come egli non si sentisse in quel momento; pure seguì lo zio, di cui il viso andava rannuvolandosi a misura che si allontanavano dal pergolato dove avevano lasciato le ragazze. Arrivati nel viale rimpetto alla scuderia, ch’era dall’altro lato della villa, ei si fermò su due piedi, dominando il nipote da tutta la maestà della sua corpulenta statura e del suo sguardo da zio.

— Alberto, tu sei il figliuolo della mia cara Cecilia! incominciò solennemente.

— Zio mio...

— E sei anche un ottimo ragazzo... non ho difficoltà di dirlo.

— Oh, zio mio...

— Io ti voglio e ti vorrò sempre del bene, da secondo padre che ti sono. Tu puoi vedere come ti ho accolto in casa, e come...

— Grazie, zio mio!...

— Ma che lavoro mi fai in ricambio?

Alberto si fece di bracia.

— M’hai stregata quella povera bambina! Di’....

Il nipote, con tutti i colori dell’iride sul viso, teneva gli occhi fitti a terra, come se avesse voluto sprofon-