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come per sfogarsi con lui, come se egli avesse qualche cosa del suo amico, e stava sovente vicino a lui zitta zitta, o pensierosa, o parlandogli di cose indifferenti, spesso ricacciando indietro le lagrime che le facevano velo alla vista, senza osar di svelargli giammai il suo dolore. Lo zio Bartolomeo non guardava più il tempo, non si fregava le mani, e prendeva tabacco con molta enfasi. Velleda non si accorgeva di nulla, non mostrava di evitar Alberto, ma lo incontrava assai raramente da sola. Al contrario si trovava più spesso con Gemmati, stava più volentieri a discorrer con lui, gli si mostrava graziosa, si faceva accompagnare nelle sue passeggiate, e faceva gravare su di lui il peso dei suoi capriccetti bizzarri.
Una volta Gemmati, tornando da caccia, aveva incontrato le ragazze, Alberti, lo zio Forlani, i coniugi Zucchi, la intera comitiva insomma, al cancello del giardino. Tutti si erano affrettati attorno al suo carniere ben pieno facendogli i mirallegro. Velleda sola rimaneva zitta. Però la signora Zucchi, ch’era molto sensibile, offuscava un po’ la gloria del cacciatore fortunato con esclamazioni compassionevoli verso una «tortorella fedele» che teneva spenzoloni per un’ala, e se la prendeva col crudele divertimento, colla durezza di cuore, ecc. Velleda, seria seria, l’interruppe.
— Se fossi un uomo non vorrei far altro.
— O tu perchè non sei venuto? domandò Gemmati al suo amico, mentre s’avviavano verso la villa.