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nese. Anche Alberto sorprese sè stesso a seguire la direzione di tutti gli sguardi, e fissava lungamente la contessina; poscia, inquieto, cercò cogli occhi l’Adele.
Velleda stava presso l’étagère, circondata dai più eleganti giovanotti, come una cerbiatta attorniata da una muta di cani; ma la cerbiatta teneva testa da tutte le parti, col brio, col sorriso, con una parola, con un gesto, spiritosa, caustica, leggiadra e impertinente. Due o tre volte volse a caso gli occhi su di Alberto, e ad un tratto gli fece segno col ventaglio di avvicinarsi; prese il braccio di lui e si allontanò.
— Non ne potevo più! disse ridendo.
Il povero giovane si sentiva tutto sossopra.
— È naturale che tutti le facciano la corte.... balbettò.
— Vorrebbe farmela anche lei? diss’ella con un accento e un sorriso singolari.
Alberto ammutolì, e a lei il sorriso morì sulle labbra. Passeggiavano lentamente per le sale, ella battendo col ventaglio il tempo di un valzer che suonavano.
— Com’è bello! esclamò Alberto.
— È Strauss, rispose ella distratta.
— O perchè non si balla un giro?
— A proposito della corte? — diss’ella sorridendo.
Alberto volle sorridere colla medesima disinvoltura, ma ci riescì assai male.
— Ebbene.... disse; sì!
— No! rispose ella col medesimo tono, ma un po’ più recisamente.