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donna, l’amore, la felicità, erano riunite in lei, nel suo sorriso, nella sua voce, nelle caldezze di quella vesticciuola che s’increspava un po’ troppo sul petto e sugli omeri delicati; allorquando lo strascico superbo di Velleda frusciava sul tappeto vicino a lui, o le sue chiome eleganti gli accarezzavano gli sguardi col loro bel biondo, egli guardava con piacere, come se quell’altra bellezza invece di essere una sottrazione alle attrattive di Adele, ne facesse parte, appartenesse anch’essa alla donna amata... o al suo amore.

Del resto egli vedeva di rado Velleda, all’infuori dell’ora di pranzo, e della sera — non sempre però. Alcuni giorni dopo l’incontrò in giardino per la prima volta soletta, colla larga manica svolazzante sul braccio, il viso colorito dei rosei riflessi dell’ombrellino, lo sguardo vagabondo, l’andatura graziosamente indolente. Ella si fermò su due piedi, gli stese la destra, e gli disse con una sicurezza di frase e d’intonazione che parve pesare come una mano vigorosa sulla spalla di lui:

— E Adele?

— Non l’ho ancor vista.

Ella sorrise come sapeva sorridere alcune volte, e disse: — Oooh!... Alberto arrossì per timore di farsi rosso.

— La troveremo forse sulla terrazza, dove il signor Forlani sta facendo collocar delle statuine di Lucca — soggiunse. — Vuole accompagnarmi?

E andarono pel viale, l’uno accanto all’altra. Le leggere balzane del vestito di lei susurravano sugli stivalini di pelle lucida.