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— Volete che vi accompagni?

— Dove andremo?

— Ma.... dove vuoi, rispose Velleda all’interrogazione dell’amica.

— Se tornassimo a casa?

La signorina Manfredini non fece alcuna osservazione, si voltò indietro, e incominciò a camminare verso il cancello, appoggiandosi all’ombrellino, con quell’altera indifferenza che l’avea fatta soprannominare la principessa.

— Sai, non è stato nulla! disse al cugino Adele, senza osar di guardarlo.

Velleda li precedeva senza affettazione pel gran viale del giardino, voltandosi di tanto in tanto per fare una interrogazione, o fermandosi per raccogliere col medesimo interesse un fiore o un filo d’erba. I due cugini la seguivano l’uno accanto all’altra, chiacchierando fra di loro, ma senza darsi il braccio. L’Adelina era un po’ pallida, avea certi rossori fuggitivi, certi impeti d’allegria, come una pienezza di vita che si fosse concentrata nel cuore: andava lentamente, quasi fosse stanca, con certa mollezza carezzevole, rispondeva a lui con voce piena di una dolce sonorità, e gli sorrideva senza alzare gli occhi, con un sorriso velato.

Entrando nel salotto Velleda sprigionò i suoi magnifici capelli biondi, togliendosi il largo cappello di paglia, e vi rovesciò tutto quel mucchio d’erbe e di fiori che si teneva in grembo.

— Cosa vuoi farne? le domandò Adele.