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Alberto respirò liberamente, e rispose ch’era contentissimo.

— Vedrai che ordine, che esattezza scrupolosa! Se avessi amministrato sempre io a quest’ora saresti.... Basta! dei morti non si sparla. Cotesti son gli atti di gabella... le spese... i bilanci... il rendiconto della tutela... Stammi a sentire.

— Ma, zio mio!... le pare!...

— No! no! figliuolo mio.... Sono affari delicati questi.... Ci son di mezzo io.... Si tratta di tutela!...

Alberto che non capiva nulla di nulla, e che aveva in corpo per giunta il rimorso di quella tal magagnetta della notte scorsa, perdette intieramente la testa soltanto a gettare gli occhi su quelle lunghe filze di cifre, e si lasciò strascinare pei capelli in un laberinto di dare ed avere, riscossioni, pagamenti, bonificazioni, atti giudiziari, spese diverse, ecc., approvando del capo, o sfogandosi in proteste di fiducia e di gratitudine. Dopo un par d’ore di quel supplizio venne a sapere che lo zio Bartolomeo, sulle trentaduemila lire d’entrata, avea fatto, durante la sua tutela, una economia di lire 5876 e 97 centesimi — oltre tutte le spese e la pensione pagata regolarmente al collegio Cicognini — delle quali 5876 lire e 97 centesimi avea mandato al nipote 2000 lire quand’era ancora a Prato, e senza parlare di un rigo di ricevuta, e le rimanenti lire 3876,97 le consegnava al momento. Ben inteso senza voler sentire nemmen discorrere d’indennità — diamine! — non era del medesimo sangue per nulla! Alberto gli rammentava al vivo