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— Cosa fate? domandò Alberto. La vecchia rimase indecisa, non sapendo che dire. Adele gli strinse la mano tacitamente. — Non le faranno male quei fiori in camera? domandò egli al dottore.
Questi scosse il capo mestamente; Alberto ammutolì.
Lo squillare del campanello, che un momento era taciuto, risuonò nell’anticamera, e sembrava avvicinarsi di stanza in stanza, insieme ad uno scalpiccío di passi e ad un borbottare sommesso. Alberto istintivamente avea fatto un passo indietro, quasi si sentisse inseguito; poi, tutt’a un tratto, strappò la sua mano da quella di Adele, con un movimento inesplicabile, indietreggiò sino in mezzo alla camera, e rimase ritto, pallido, fosco, coll’occhio fiso sull’uscio, affascinato.
Entrò il prete, il sagrestano, due o tre contadini; il marchese guardava come in sogno tutta quella gente che entrava così in casa sua, e s’accostava al letto di sua moglie; li vedeva muoversi appunto come le immagini di un sogno, taciti, misteriosi, borbottando parole e facendo segni che non capiva; il letto era inondato di luce, sua moglie non diceva nulla, ed egli non la vedeva più. Poscia tutta quella gente se ne andò col medesimo scalpiccío funebre, col medesimo mormorío di parole sommesse, lasciando un odor singolare che non aveva mai sentito. Adele rimaneva distesa sul letto, colle mani in croce sul petto, gli occhi rivolti verso di lui, e gli sorrideva serenamente.
— Ora lasciatemi confessare con mia moglie! disse improvvisamente Alberto alle due o tre persone ch’erano presenti.