Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 284 — |
piccola tavola accanto al letto c’era un mucchio di piccoli utensili d’argento e di cristallo che luccicavano; di contro al letto, colle spalle all’uscio, vedevasi una poltrona, e una testa interamente canuta che sorpassava la spalliera alla quale appoggiavasi. Tutte quelle cose stringevano il cuore.
L’inferma, vedendo quell’ombra nel vano dell’uscio, volse penosamente il capo, trasalì, e fece un languido movimento per stendere la mano, atteggiando le labbra ad un pallido sorriso.
— Grazie! mormorò con voce che a lui mise il brivido nelle vene.
— Come stai?....
— Lo vedi.
Ei volse gli occhi su quella tovaglia bianca, come se non l’avesse ancor vista, e la guardò a lungo in tal modo che Adele premette tacitamente la mano che teneva nella sua.
Il medico s’era alzato. — Il buon dottore! disse Adele. Alberto gli strinse la mano con forza.
— È la seconda volta che mi vede in questa camera! gli disse con un singolare sorrise. Si rammenta?
— Molto tempo addietro però!
— Sì, molto tempo!
E stette guardando Adele, immobile e bianca nel suo bianco letto. Di quando in quando faceva scorrere uno sguardo stralunato sulla coperta, quasi cercandovi il corpo di lei che vi si smarriva, e le stringeva convul-