Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 269 — |
per la campagna; così toglievasi pel momento al supplizio di comparirle dinanzi in quelle ore che solevano passare insieme. Ella sentiva un gran dolore, una gran paura del carattere di quell’uomo, un gran timore di contrariarlo, e non fece la menoma osservazione.
Alberti aveva detto che sarebbe mancato una settimana o due, e mancò tre mesi. In questo tempo Adele s’era ammalata, assai più gravemente di quel che sospettasse ella medesima, e gliene aveva scritto come di una passeggiera indisposizione. Egli informavasi di lei tutti i giorni per telegrafo, ma non ritornava. Del resto le notize che riceveva erano sempre più rassicuranti; la marchesa sembrava intieramente guarita.
D’allora in poi il marchese scriveva spesso alla moglie, e spesso riceveva sue lettere. Per lo più erano lettere insignificanti — o significanti troppo — non contenenti altro che le fredde formule della cortesia coniugale, rispettose e asciutte da parte di lui, timide e riservate da parte di lei. Di tanto in tanto un pensiero serpeggiava (è questa la parola adatta, poichè era un serpe) per la mente di Alberto: che cosa sarebbe divenuto di quel tesoro di affetto che c’era nella sua Adele, adesso che per sua colpa era stato distolto violentemente da lui? dove sarebbesi rivolto? su che cosa... o su chi e in qual modo? Allora arrischiavasi ad insinuare nelle sue lettere qualche frase che prestavasi ad un’interpretazione affettuosa, e cercava nelle risposte di Adele il riflesso del sentimento che provava.