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con una di quelle strette di mano che armonizzavano col suo viso aperto e leale. Avea riveduto Adele senza finta semplicità, senza riserbatezza affettata: dopo la prima stretta di mano, tutti tre sentivano che non avevano più nulla a nascondersi, nulla a rimproverarsi, e respiravano liberamente.

— Sai che sono stato geloso di te! gli disse Alberto allorchè furono soli un momento.

— Non sarebbe stata la prima volta; rispose Gemmati ridendo; ti rammenti della figliuola del barbiere a Prato? e adesso, alla fin dei conti, mi tocca d’essere geloso io di te! Sei felice? aggiunse vedendo rientrare la marchesa.

— Sì, rispose Alberto con una certa vivacità.

Gemmati avea mille cose da raccontare dei suoi viaggi e il suo dire era pieno di brio e d’interesse. La sera trascorse come un lampo, in una dolce e tranquilla intimità, e fece venire nel discorso il ricordo delle più belle sere di Belmonte. Gemmati s’era fatto un bell’uomo, dai lineamenti energici e virili, sembrava avere acquistato in una vita attiva ed operosa tutto quello che Alberti avea sciupato nella sua molle e tempestosa. Il marchese l’avea forse contemplato con cotesto sentimento, mentre Gemmati discorreva con sua moglie, e quando se ne fu andato, Adele disse:

— È sempre giovane! n’è vero, Alberto?


La salute della marchesa Alberti era sempre delicata, e in estate i medici le prescrivevano di fuggire Firenze.