Pagina:Verga - Eros, 1884.djvu/234


— 230 —

lungamente. Adele stendeva verso la fiamma le sue mani pallide e delicate, e di tanto in tanto Alberto vi fissava uno sguardo distratto.

— Cugina, disse dopo alcuni minuti, se fossi giovine e bello, e avessi pure i torti che ho verso di voi, mi amereste?

— Perchè mi fate questa domanda, signore? rispose Adele rizzandosi sulla poltrona.

— Per sapere alfine in che stia cotesto amore; mormorò Alberti sordamente.

Adele ricadde all’indietro sulla spalliera della seggiola, e rimase alcun tempo senza aggiunger motto. — Quanto avete dovuto soffrire! esclamò poscia.

— Io ho goduto della vita; rispose egli.

La donna gli volse uno sguardo fra attonito e dolente. Il cugino teneva la fronte fra le mani, parlava con amara e tranquilla convinzione, ma evitava di incontrare gli occhi di lei.

— Ho letto chiaro nella natura umana come in uno specchio: la maggior parte dei nostri dolori ce li fabbrichiamo da per noi: avveleniamo la festa della nostra giovinezza esagerando e complicando i piaceri dell’amore sino a farne risultare dei dolori, e intorbidiamo la serenità della nostra vecchiaia coi fantasmi di un’altra vita che nessuno conosce. Ecco il risultato della nostra civiltà. Ho visto dei selvaggi scotennarsi per la donna per il ventre, ma fra di loro non ci sono nè suicidi, nè spleen. Tutta la scienza della vita sta nel semplificare le umane passioni, e nel ridurle alle proporzioni natu-