Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 225 — |
— Torniamo indietro: disse brevemente.
Oltrepassarono il groom che s’era fermato anch’esso, e lo lasciarono molto addietro. Nessuno di loro due osò rompere per qualche tempo il silenzio che seguì. Il passo dei cavalli era sonoro; la luna incominciava a sorgere, e ad insinuarsi fra gli alberi, strisciando sul bianco viale: a poco a poco i cavalli s’erano accostati, e andavano fiutandosi. Alberto prese la mano della cugina, che le cadeva lungo il vestito.
— Lasciatemi... diss’ella dolcemente.
— Vendicatevi! rispose Alberto con voce sorda. È la vostra ora!
— Lasciatemi, ripetè Adele con tanta maggior vivacità per quanto sentivasi divenir più debole. Fra di noi c'è un abisso.
— Vostro marito?
— Chi? diss’ella con voce che lo fece trasalire.
— Gemmati!...
Ella tirò bruscamente le redini, e si rizzò sulla sella, pallida, immobile, con occhi scintillanti.
— Io mi chiamo ancora Adele Forlani! esclamò con voce estinta, ma colla fronte alta.
Il marchese ammutolì.
— Mi credevate maritata? riprese ella dopo alcuni istanti. E parlavate in tal modo alla moglie del vostro migliore amico!...
Ei non rispose.
— Come siete divenuto, Alberto! esclamò dessa celandosi il viso fra le mani.