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fosse trovata ai bagni. Il baccanale della babele europea estiva faceva crollare in uno scoppio di risa il melanconico castello di carte, dove la sua fantasia abbrunata avea rinchiuso i sospiri della bella, mentre egli dondolavasi sulla poltrona fumando il sigaro. Il suo funesto spirito d’analisi ebbe campo di fargli fare delle lunghe meditazioni, amare, irritanti, che ferivano non solo le sue illusioni giovanili, ma anche il suo amor proprio.

Coll’inverno erano ritornate le rondinelle dell’alta società, ed Alberti seppe che la contessa era andata a Torino col marito. A quella notizia, al sapersela cotanto vicina, sentì divampare in fondo al cuore, non diremo l’amore, ma il desiderio, la curiosità, una certa ostinazione dispettosa, e andò e la rivide. Com’era cambiata! non al fisico, la contessa era sempre giovane e bella; ma il contegno di lei, così strano, così indifferente, ricominciava a montargli la testa o a fargliela perdere. Però l’Armandi non era tal donna da perderci la sua quando non voleva, o da farsi strascinare pel chignon, da una situazione imbarazzante. Finalmente gli rispose dandogli appuntamento in uno dei più remoti viali vicino all’Orto Botanico.

Allorchè il giovane la vide discendere dal fiacre da nolo, sentì battersi il cuore come una volta, più forte di una volta forse. Ella gli venne incontro un po’ esitante, e gli stese la mano.

— Volete che montiamo in carrozza? le domandò.

— No.

— Perchè non rimandate il vostro legno in tal caso?

— Lasciatelo lì.