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La moglie sosteneva da sola il dialogo, con certa vivacità inquieta e nervosa, sporgendosi di tanto in tanto fuori dello sportello; suo marito limitavasi ad evitare che il fumo del sigaro le desse noia, e a volgere qualche volta il capo verso di lei, per farle dei cenni affermativi.
— Il signor capitano è partito da venti minuti; venne a dire il domestico.
— Alla buon’ora! disse Armandi con gaiezza. Ci perdo una caccia, ma ci guadagno il piacere di passare la sera con voi.
Ella lo ringraziò con un pallido sorriso, e tornarono indietro. Questa volta anche la contessa s’era buttata in fondo al legno, avvolgendosi nel suo scialle, taceva e sembrava alquanto preoccupata. Giunti alla villa, saltò a terra per la prima con vivacità, e montò lestamente i pochi scalini; il marito però la prevenne nello schiudere l’usciale, e la precedette nelle sue stanze.
— Perchè avete lasciato acceso quel lume? disse bruscamente l’Armandi alla cameriera.
— Non m’aveva ordinato di spegnerlo...
— Siete una stupida! Andate!
— Via, via, non andate in collera, soggiunse il marito. Infine che male c’è?
La moglie si strappò i guanti, li buttò sul canapè, e rimosse due o tre oggetti con impazienza.
— Vi disturbo forse...
— Vi pare... tutt’altro! gli rispose saettando uno sguardo sull’orologio.